martedì 27 settembre 2022

Testimonianze, Storie di amore e bambini in affido familiare: “Scelgo l’affido: so cosa significa sentirsi abbandonati”.

 



S. sa perfettamente il significato del termine ‘Affido’, lo sa più di molti altri e quando, ignare, ad uno dei nostri corsi cui si è iscritta per diventare affidataria, le chiediamo di spiegarcelo, capiamo subito che lei sa “cosa significa sentirsi abbandonati”. Noi MammeMatte insistiamo molto sulla differenza tra affido e adozione, perché non si faccia confusione tra i due istituti giuridici, ma S. ha ben chiara la differenza e sceglie l’affido “perché i legami affettivi tra perfetti sconosciuti sono più forti di certi legami di sangue” e “perché è proprio vero che spesso vogliamo essere ‘salvati’, ma anziché aprirci e fidarci del mondo, ci irrigidiamo e diventiamo ostili’”.



Nel modulo con cui mi sono presentata per il percorso di affido ho scritto: “la mia famiglia potrebbe fare di cognome Dinosauri, perché estinta”, un modo non proprio serio ma certamente sincero per raccontare la mia storia. In breve è andata così: mia mamma muore diciotto giorni prima del mio diciottesimo compleanno, la primavera dell’anno successivo mio padre mi abbandona. Altri parenti non sono pervenuti. No, non avevo combinato nulla di male, anzi, sulla carta sono sempre stata la “figlia modello”: ottimi voti a scuola, tanto da diplomarmi al quarto anno di liceo classico col cosiddetto salto, comportamento sempre rispettoso delle regole, brava nelle questioni domestiche. E allora che è successo? Non è questo il punto, anche perché lui, genitore XY, nel frattempo è morto (ve l’avevo detto che appartenevo ai dinosauri!), senza mai dare spiegazioni, senza mai chiedere scusa, e pertanto non sapremo mai quello che davvero gli sia passato per la testa.

Ciò che è certo è quello che è successo dopo: ho bussato ai servizi sociali del mio Comune, una grande città, perché non avevo redditi al di fuori di una piccolissima quota di reversibilità di mia mamma né tantomeno un tetto sopra la testa. Mi è stato risposto che non c’erano alloggi per le emergenze abitative e che comunque ero maggiorenne: non potevano aiutarmi. Di fronte a questo nulla cosmico, privo di soluzioni o quantomeno alternative, la mia salvezza sono stati dei perfetti sconosciuti. La mia risalita, la strada che mi ha portata qui ora a sentirmi così salda tanto da potermi offrire a supporto degli altri, è stata costellata di gente che mi ha teso la mano in cambio di nulla, mi ha semplicemente ritenuta degna di un’altra possibilità. Questo è un passaggio che mi preme sottolineare, sempre, in primis a me stessa: per una persona che ti ha abbandonata, che non ti ha ritenuta all’altezza di..., ne hai trovate tante altre che invece ti hanno aiutata, fidandosi solo di due occhi e un sorriso.

Ecco allora perché scelgo l’affido: perché so cosa significa sentirsi abbandonati – che è molto peggio dell’esserlo solamente... la sensazione rimane anche quando attorno non hai più il vuoto -, perché la rete sociale può salvare letteralmente vite, perché i legami affettivi tra perfetti sconosciuti sono più forti di certi legami di sangue, perché è proprio vero che spesso vogliamo essere “salvati”, ma anziché aprirci e fidarci del mondo, ci irrigidiamo e diventiamo ostili: “ti pare che questo voglia proprio me?”. Ebbene sì, io voglio proprio te, che vedi un presente così cupo che non credi possano ancora esserci colori sulla tela della tua vita. Che vorresti prendere a pugni il mondo e forse se ti tengo fermo un saccone, ti sfoghi prima e andiamo avanti. Ma avanti ci andiamo insieme, un pochino o tanto o per sempre, fin quando tu vorrai. Non ho la pretesa di insegnarti nulla, anche se non posso promettere di non fare filippiche su qualche atteggiamento adolescenziale che mi farà accapponare la pelle, perché “ai miei tempi...”. Di certo non potrò indicarti nessuna via, perché sono la regina dello sbagliare strada e allungare il tragitto, ma posso assicurarti che “perdersi” a volte può diventare sinonimo di scoprire e che se non si borbotta per il tempo perso, ma ci si guarda attorno a godersi panorama e persone, può anche capitare che ci si ritrovi proprio nel posto giusto al momento giusto, anche se non era esattamente quello che ci si era immaginati.

E se devo dirtela tutta, non aspiro minimamente a sentirmi chiamare “mamma”, anche se già mi dicono che comunque mi ci sentirò. La mia speranza, il mio augurio per te, è che l’affido duri il meno possibile, perché vorrà dire la tua famiglia di origine è riuscita a superare le difficoltà e i problemi che ti avevano separata da lei. Anche “dopo”, comunque, sappi che io ci sarò sempre: per una chiacchiera, un abbraccio, una passeggiata reale o metaforica, un confronto, un fardello da tenere un po’ insieme, un futuro tutto da scrivere...”.


Una MammaMatta ad honorem


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